Sindrome Italia
di e con Tiziana Vaccaro
Durata 70 minuti
Dieci anni sono racchiusi in una lettera, quella che Vasilica scrive ai propri figli per raccontare il tempo che li ha tenuti lontani, il perché di una partenza verso un paese straniero, la terra promessa dei pettegolezzi di campagna. Sola in quella terra, chiusa nelle loro case, si è presa cura di persone straniere, estranee, così come lei è ora estranea a sé stessa, estirpata alla radice. Dall’Italia alla Romania passando per Palermo e Milano, Sindrome Italia è il racconto di un ritorno, delle cicatrici della migrazione, di una femminilità in lotta, è la storia di una e insieme di moltissime donne, le nostre “badanti”.
Chi sono le donne che arrivano dalla Romania, dall’Ucraina, dalla Moldavia? E ancora dalla Bulgaria, dalla Georgia, dalla Polonia? Ma anche dalle Filippine, dal Sud America? Chi sono state prima di diventare “badanti”? Cosa hanno lasciato nel loro Paese? Sono donne che abbandonano la propria famiglia per occuparsi della famiglia di qualcun altro. In Italia sono 1.700.000 le donne migranti: filippine, sudamericane, ucraine, polacche, moldave, rumene. Grazie al passaparola tra connazionali sono incoraggiate a partire. Spesso scelgono di andarsene di notte, mettendo a letto i figli come tutte le sere e poi loro si sentono dire al mattino: “la mamma non c’è stamattina, è partita, qualche settimana e poi torna”. Le donne intanto arrivano in Italia, sole. Trovano presto lavoro e convivono con l’anziano fino a quando muore. E tutto ricomincia, nella solitudine e troppo spesso nel dolore. Cosa succede a queste donne dopo? Quando ritornano nel loro paese? Che cosa ne è del loro futuro? Sindrome Italia è il termine medico usato per indicare “complesso di malattie mentali invalidanti, con ideazione persecutoria, di maltrattamenti e ossessioni ricollegabili alle attività lavorative di cura svolte in Italia”, fenomeno oggi più comunemente riconosciuto come “malattia delle badanti”. Lo spettacolo Sindrome Italia. O delle vite sospese racconta l’esplosione della malattia, di una vita sospesa fra un passato di ricordi sbiaditi e un futuro solo immaginato, in un presente vissuto come “qualcosa che permette qualcos’altro”. Racconta il bisogno d’amore, un bisogno disperato di aggrapparsi per non essere più soli. Racconta l’incapacità di reagire, di “balzare fuori dal pentolone con un forte colpo di zampa” e tornare alla vita.
Classe 1984, catanese di origine, vive e lavora a Milano. Autrice poliedrica e attrice teatrale, nel 2008 si diploma all’Accademia d’Arte Drammatica Umberto Spadaro del Teatro Stabile di Catania e si laurea in Scienze per la Comunicazione Internazionale presso l’Università degli Studi di Catania. Nel 2014 consegue il Master di Teatro Sociale e di Comunità presso l’Università di Torino. Nel 2015 scrive e va in scena con lo spettacolo Terra di Rosa – vite di Rosa Balistreri, in tournée in Italia e in Europa e vincitore di diversi premi nazionali, divenuto in seguito la drammaturgia a fumetti Terra di Rosa – vite di uno spettacolo. Nel 2019 scrive ed è interprete dello spettacolo Sindrome Italia. O delle vite sospese che nasce da una riflessione sulla migrazione femminile proveniente dall’Est Europa e che diventa nel 2020 il graphic novel Sindrome Italia. Storia delle nostre badanti, in collaborazione con la fumettista Elena Mistrello e Becco Giallo Editore. È conduttrice di laboratori teatrali per i quali collabora anche con Sciara Progetti Teatro in Emilia Romagna e le realtà milanesi Teatro degli Incontri e Qui e Ora Residenza Teatrale, quest’ultima attiva sul territorio della bergamasca e riconosciuta nel 2018 dal MIBACT come “impresa di produzione di teatro di innovazione”. È membro di C.Re.S.Co, rete di coordinamento delle realtà della scena contemporanea.
Sindrome Italia
Giusy Arimatea / Le conseguenze del teatro
Nel luogo della finzione per eccellenza irrompe dunque la realtà, la più cruda, quella innanzi alla quale ci si vorrebbe girare dall’altra parte. E rompe gli argini dell’io attorno cui ruotano le nostre esistenze, per catapultarci nel mondo che entra nelle nostre case e del quale non ci siamo mai veramente accorti. Quello è il mondo di donne sospese tra il passato, il presente e un futuro persino difficile da immaginare. [...] Quando Vasilica ha bisogno di tornare indietro perché non sa più andare avanti, quando i luoghi del ritorno sono i luoghi sconosciuti che l’inclemenza del tempo ha stravolto, quando il respiro c’è, deve esserci, eppure Vasilica non riesce più a sentirlo, allora esplode la sospensione di un’esistenza che il teatro può permettersi di sussurrare. Poi, nel tragitto che compie dalla scena allo spettatore, il dramma può ammutolirsi e spegnersi, o può scegliere di urlare. Nell’urlo si compie il miracolo del teatro che guarda in faccia la realtà e prova a scuotere le coscienze.
Danilo Caravà /Il teatrante
Il personaggio non è sotto, o sopra, un secchio, è in tutti noi, nel senso di estraneità al mondo che ci circonda, che a volte ci fa sentire proprio come lo Straniero, il protagonista del romanzo di Camus. E quando la voce dell’attrice comincia a graffiare, quando i fonemi diventano pietre che fanno rumore quando cadono, eccome se lo fanno, allora si comprende quanto la vita abbia urgenza di ritrovare se stessa, quanto si abbia bisogno di non perdere continuamente terreno, di trovare un pavimento di certezze su cui camminare, che sia più solido del terreno che ci manca sotto i piedi.
Questo monologo ricorda quanto sia unico e meraviglioso il racconto di un’anima, di quella piccola grande cosa che abita il corpo, e cerca di essere, e cerca di dirsi nel mondo. […]
Tiziana F. Vaccaro, autrice anche della drammaturgia, è una di quelle attrici che si fa passare il testo dal ventre, nella carne, e poi lo fa trasudare da ogni poro. Diventa tanti personaggi senza smarrire per un attimo il filo di Arianna del monologo. I vestiti bagnati sono, in realtà, impregnati di vita. Umide sono le lacrime, umido è il sudore, umida la fatica. Che sfiancante ginnastica del cuore, mentale e spirituale, compie l’attrice nel dipanare dal rocchetto del proprio corpo questa meravigliosa storia. Alla fine guarda il pubblico regalando un gesto potente, un umile, gentile, sorriso che non può che trascinare la platea verso un forte applauso.