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Every brilliant thing - Tutte le cose per cui vale la pena vivere

Tri-boo in collaborazione con Sotterraneo

Durata 60 minuti

Il Guardian lo ha definito “The funniest plays you’ll ever seen about depression”(la più divertente commedia sulla depressione mai vista), un controsenso che sintetizza perfettamente l’essenza di questo spettacolo che ripercorre la vita della protagonista attraverso i fallimentari tentativi di suicidio della madre: un “one woman show” in puro stile britannico dove l’interazione con il pubblico regala sempre momenti indimenticabili.

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Dopo una lunga attesa all’uscita di scuola, la protagonista, che al tempo frequentava la scuola elementare, si ritrova in macchina con il padre. Un viaggio segnato da un lungo silenzio che termina all’ospedale, dove la madre è ricoverata dopo il suo primo tentativo (fallimentare!) di suicidio. Appena vede la figlia fuori dalla sua stanza, la madre, con un filo di voce, riesce a dire solo un “non lei!”. Da questo momento, la protagonista, deve trovare il modo di reagire. Il senso di colpa comincia a insinuarsi dentro di lei. Deve trovare un modo per superare questo profondo turbamento e reagire e, sempre all’ospedale, trova il modo di scrivere una lista di tutte le cose per cui vale la pena vivere. Le prime 10 cose le scrive di getto: 1) Gelato 2) Gavettoni 3) Rimanere sveglia dopo l’orario per andare a letto e avere il permesso di guardare la tv 4) Il colore giallo 5)Tutte le cose a righe 6) Le giostre 7) Gente che scivola 8) Succo 9) Cioccolato 10) Anziani gentili che non sono bizzarri e che non hanno quello strano odore.
Le successive sono frutto dei suoi percorsi di vita da bambina a studentessa universitaria e poi da adulta. La lista segue di pari passo la costruzione della sua identità fino a quando riesce a capire quanto la lista avesse cambiato il suo modo di vedere il mondo.

“...se vivi tanto a lungo e arrivi alla fine dei tuoi giorni senza esserti mai sentito schiacciato, almeno una volta, dalla depressione, beh, allora vuol dire che non sei stato molto attento!”

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Daniela D’Argenio Donati si diploma nel 2001 alla Scuola di recitazione del Teatro della Limonaia, con lo spettacolo “Materiali Koltès”, per la regia di Barbara Nativi e Renata Palminiello. Comincia subito a collaborare con Barbara Nativi e il Teatro della Limonaia partecipando sia al Festival Intercity che alle produzioni della Compagnia Laboratorio Nove per oltre dieci anni e in numerose produzioni dirette da registi quali: Michail Marmarinos, Theodoros Terzopoulos, Maria Thais, Juka Jokela e Anatòlij Vasìl’ev.
Nel 2006 con i Cà luogo d’Arte porta in tournée in Italia, Francia e Svizzera “La petite marchande d’allumettes” per la regia di Maurizio Bercini. Nel 2010 Alessandra Gigante la sceglie come protagonista per quattro dei suoi documentari. Dal 2010 al 2015 insegna a bambini e ragazzi all’interno della Scuola di Teatro Intercity. È stata Elisabeth Woodville nel Riccardo III di Shakespeare prodotto dall’Atp e diretto da Renata Palminiello. Al momento è impegnata con il monologo “Every brillant thing” di Duncan Macmillan, per la regia di Michele Panella e con “Effetto Papageno”, monologo scritto dalla medesima, Michele Panella e Sofia Bolognini, per la regia di Michele Panella.

 

Nicola Delnero – Paperstreet.it
...occorre stemperare un po’ i toni e cercare di aggrapparsi agli aspetti positivi della vita (teatrale), perché su di essi si può sempre fare affidamento anche e soprattutto in questi tempi bui. Ne è pienamente convinto Duncan Macmillian, autore di Every Brilliant Thing, spettacolo che cerca di trovare un barlume di speranza anche quando le situazioni diventano irrimediabilmente complicate. Prima di addentrarci nella messinscena tradotta e riadattata da Michele Panella, non possiamo esimerci dal ritrovare una sorta di affinità con uno dei più grandi capolavori di Woody Allen – Manhattan (1979) – e nel suo celeberrimo monologo finale in cui il protagonista elenca le cose per cui vale la pena vivere, per ritrovare una sorta di senso della vita dopo che il mondo gli è appena crollato sulle spalle. Tutte le cose per cui vale la pena vivere, infatti, è anche il sottotitolo attribuito da Panella a questo spettacolo interpretato da Daniela D’Argenio Donati e andato in scena nel cortile di Casa Prato. Riferendosi all’opera originale, il Guardian l’aveva definita «The funniest plays you’ll ever seen about depression», un controsenso che sintetizza perfettamente l’essenza di questo “one woman show” che si propone di ripercorrere la vita della protagonista attraverso i fallimentari tentativi di suicidio della madre. Dalla prima corsa in ospedale, infatti, l’allora bambina di sette anni compilerà una lista di tutte le cose che siano in grado di trarre conforto al suo animo ferito. Un elenco costantemente aggiornato che scandirà tutto il suo percorso di vita, dalla propria adolescenza fino all’età adulta. Un cammino esistenziale portato avanti in scena tramite l’interazione con il pubblico, ripetutamente coinvolto e portato a impersonare le figure chiave dell’intera vita della protagonista, sempre abile a trovare la spalla ideale e lucida quando è il momento di improvvisare. Momenti briosi e frizzanti si mescolano ad altri più cupi e rigidi, con lo spettatore che si ritroverà a rimanere coinvolto emotivamente in una vicenda “familiare”, nella quale ognuno di noi, almeno in parte, potrebbe rispecchiarsi. Si ride (tanto) e si empatizza con le pene dell’attrice in scena; ed è qui che si rivela la bravura della coppia Panella- Donati, ossia quella di riuscire a non intaccare il ritmo e la fluidità dell’opera nonostante i continui e repentini sbalzi umorali creati. Caduta e risalita, questa oscillazione perfettamente calibrata è quindi il segreto della buona riuscita di questo spettacolo (produzione Tri-Boo con Teatro Sotterraneo) che ci ricollega, volente o nolente, al nostro discorso iniziale e all’attuale periodo storico (non solo teatrale), ossia quello in cui è diventato sempre più necessario aggrapparsi a un appiglio per resistere ed evitare di rimanere in ginocchio.

Vincenzo Sardelli
Brioso e originale “Every brilliant thing – tutte le cose per cui vale la pena vivere”, nuova produzione di Tri-Boo in collaborazione con Teatro Sotterraneo.
Vivacità e humour venano il testo del britannico Duncan Macmillan. Inappuntabile Michele Panella nella traduzione e nella messa in scena, mentre una Daniela D’Argenio Donati versione mattatrice coinvolge ripetutamente il pubblico, trasformando il cortile di Palazzo Gambassi in palcoscenico, gli spettatori in attori e coro classico. Abilissima a trovare la spalla ideale in mezzo al pubblico, l’attrice si lancia in un gioco interattivo e metateatrale garbato, solo a tratti esasperato.
La pièce ripercorre la vita di una donna attraverso le prove di suicidio della madre. Tema angosciante, se non fosse che questa gemma di drammaturgia contemporanea emula i tragediografi greci nella ricerca della catarsi, evidenziando le infinite ragioni per cui vale la pena vivere.
D’Argenio Donati è un’ironica Amelie vintage, che sdrammatizza il topos del suicidio senza mai banalizzare.

Ludovica D'Alessandro
Una lista di motivi per cui valga la pena vivere. Il gelato, tutte le cose a pois, la voce di Nina Simone... O meglio, tutti gli aspetti della vita che dovrebbero distoglierci dall’idea del suicidio. Questo è il tema di Every Brilliant Thing, presentato in anteprima al festival Giardino delle Esperidi il 9 luglio, ma che probabilmente porterà l’attrice Daniela D’Argenio Donati di nuovo sotto i riflettori con questo suo scoppiettante one-woman-show. Il testo dello spettacolo è stato tradotto dall’originale inglese di Duncan Macmillan e Jonny Donahoe, archetipo che prevede un unico protagonista maschile alle prese con la depressione ed i tentati suicidi della madre, il quale decide pertanto di dedicarle un elenco delle ragioni per cui la vita sia degna di essere vissuta. Questa nuova messinscena, dall’abile regia di Michele Panella, è invece tutta al femminile ed indaga il motivo familiare in una chiave matrilineare, scandagliando lucidamente i sentimenti e gli inevitabili sensi di colpa di colui che si trova costretto a vivere da vicino i drammi di chi ama. Non sarebbe tuttavia affatto corretto definirlo uno spettacolo dal liricismo frontale o contrassegnato da un mero monologismo, il pubblico è infatti parte fondamentale della rappresentazione e proprio dalle poltrone vengono scelti gli altri personaggi della vicenda in scena: il padre, il veterinario, l’insegnante d’università ed addirittura il fidanzato della protagonista. Devo ammettere che, inizialmente, il pensiero di potermi trovare a mia insaputa ad assumere un ruolo attivo in uno spettacolo suscita in me una leggera timidezza ed un filo di esitazione, così come il dover leggere ad alta voce un biglietto che mi è stato assegnato, come agli altri spettatori, prima della scena iniziale. La vera magia di Every Brilliant Thing è però la capacità di toccare delicatamente quelle corde che più ci rendono sensibili e compartecipi dell’esperienza interiore collettiva, una catarsi in piena regola, passando da un ironico sorriso alla risata, e poi alla serietà consapevole. Non ci sono più ruoli, contorni e limiti fra attore e fruitore, solo persone con il proprio fardello, i propri amori, ma soprattutto con i particolari motivi che le legano alla vita. Guardare qualcuno che guarda il tuo film preferito, il colore giallo, fare la pace dopo un bisticcio... In fondo Every Brilliant Thing non può non piacerci, in virtù di un universalistico homo sum, in virtù di un ammiccante invito a trovare il lato positivo, in virtù anche dell’accettazione delle proprie scarse capacità di improvvisazione teatrale o della propria timidezza. Every Brilliant Thing non può non piacerci perché, come nell’opera più riuscita, i riflettori sono puntati verso di noi, spettatori e attori del dramma umano di ogni giorno.

Federica Guzzon – Repubblica.it/cheteatrochefa/blogautore
Per conoscere la morte, bisogna passare per la vita. Per percepire il bianco, bisogna accostarlo col nero. Sono le regole degli opposti, che questo spettacolo adopera non solo per il contenuto, anche per la forma. La protagonista rende lo spettatore attore, usandolo come complice della sua storia. Attraverso il sarcasmo e la dolcezza del ricordo entriamo nella vita di questa donna, ripercorrendo le tappe della nostra. Non esiste separazione tra noi e lei, come in una famiglia l’empatia diventa impersonificazione. Nel gioco divertente delle parti: un fatto, un’emozione, un gesto ci portano drasticamente in una realtà tanto concreta da sentirla. Un sorriso amaro appare quando si pensa che la lista delle cose che più le piacciono al mondo l’ha iniziata a scrivere per la madre. La madre che convive con la depressione, che ha tentato il suicidio, che si è avvicinata tanto alla morte da indurre la figlia a cercare la vita. Lei voleva salvarla questa madre da quando aveva 7 anni, lei non voleva assomigliarle; lei scopre che è la madre ad averla salvata. Crescere prematuramente conduce a conoscere prima la sofferenza, ma se si è abbastanza forti e saggi, anche a riconoscere la vera felicità.
Le luci in platea sono accese, gli spettatori hanno dei fogliettini in mano, quando viene chiamato il numero devono leggere una “delle cose che mi piacciono di più al mondo”. Qualcuno farà il padre, un altro il fidanzato, il veterinario o il professore. Tutti ridono e sono entusiasti di contribuire; soffrono però quando lei è triste, scoraggiata o delusa. Infine non smettono di sperare in quel mondo di meraviglia che ti aiuta a vivere, che ti fa raccontare l’incanto, anche se ogni tanto l’inesorabilità del caso tende l'agguato.

Every brilliant thing - Tutte le cose per cui vale la pena vivere

Un'attrice, presa di corrente per lo stereo, un tavolo di almeno 100x60, due sedie, vino rosso e bicchieri.

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